Ma chi me lo fa fare? È questa la domanda che la maggior parte delle persone mi fa, sicuramente perché conosce solo il lato “oscuro” della corsa, la Fatica e non la magia positiva che la circonda.

Ogni volta che arrivo al traguardo mi chiedo come farò a raccontare a casa le sensazioni provate, è impossibile condividere queste esperienze con chi non ha uno spirito avventuriero, puoi amare il mare, la montagna, non importa cosa, ma devi essere uno che cerca qualche cosa di più dal mondo che ti circonda, senza per questo rischiare troppo.

Perché il deserto? Perché è pulito rispose Lawrence D’Arabia alla domanda di Winston Churchill nel 1925; il deserto è il teatro dell’immobile, scrive Bowles, l’animosa quiete del mondo, un posto dove la parola PACE mostra tutta la sua potenza. È la magia del deserto dove l’ostilità della natura è uguale al fascino che sprigiona. Condivido queste vedute e aggiungo che la parola che più raccoglie il significato di deserto è proprio MAGIA, perché alla fine quello che ti rimane come per incanto resta per sempre avvolto dalla sua luce.

Ho conosciuto persone che corrono per motivi ambientali, altre solo per vincere tutte le competizioni, altri ancora per motivi umanitari o di charity, anch’io mi sono chiesto perché corro, e la risposta è sempre stata la stessa, perché mi piace. Con il tempo ho apprezzato anche tutti gli aspetti correlati alla corsa il cui scopo è di migliorare la qualità della vita, vivi all’aria aperta, regolarizzi le tue funzioni vitali e ti godi la tavola senza pensieri.

A volte l’alone che si crea attorno a certi atleti supera l’immaginazione, si pensa che solo persone eccezionali possono compiere imprese straordinarie, anch’io guardando dal di fuori questo mondo pensavo fossero degli atleti particolarmente dotati, immaginando a quali dure prove dovevano sottoporsi per partecipare a questi eventi.

Oggi mi sento di dire che anche persone normali possono compiere imprese straordinarie.

Quando mi sono avvicinato per la prima volta alla maratona, la più dura prova olimpica sembrava una montagna insormontabile, ora è un allenamento settimanale.

Molte persone hanno partecipato alla stessa corsa anche per 7-8 e più anni di seguito, io invece ho preferito cambiare sempre angolo del pianeta per assaporare le bellezze che di volta in volta mi trovavo di fronte, è un po’ come la vacanza chi vanello stesso posto per anni o cambia sapendo che può trovare nuove emozioni.

Cambiare continuamente deserto però ti costringe a non dare nulla di quello che hai fatto per scontato, devi rivedere molte cose dell’equipaggiamento, ma soprattutto devi modificare gli allenamenti in funzione della location e del clima che troverai per sviluppare maggiori attitudini all’acclimatamento.

La durezza delle prove cui ci sottoponiamo sembra far emergere in noi atleti una sorta di masochismo ma non è vero, anzi fa nascere in noi un grandissimo istinto di conservazione impariamo a valutare le situazioni in modo molto critico e realistico, dosando le energie per utilizzarle al meglio e questo ti fa sentire bene quando superi una tempesta di sabbia in Marocco o passi un 4.000 nel Gobi dopo 20 km di salita o attraversi una delle zone più aride del pianeta dentro al salar dell’Atacama in Cile.

È comunque una corsa lenta, i pensieri ti accompagnano sempre e sono i valori più veri che ti danno la forza per continuare e anche quando vedi i tuoi amici arrivare condividi con piacere le pochissime cose che ti sei portato o che il campo può offrire, una tazza di te attorno al fuoco, un pezzo di pane o semplicemente un momento di assoluto silenzio sotto le stelle.

Voglio riportare un articolo apparso sulla Gazzetta dello Sport in occasione della vittoria sulla marcia da parte di Alex Schwarz fatto da Candido Cannavò che dice:

…. Gente sana, tenace silenziosa, disposta al sacrificio, gente da portare nelle scuole, da raccontare ai bambini perché capiscano che non tutto è stupido e futile nel loro e nel nostro mondo. Bello.